martedì 30 aprile 2019

ELEZIONI COMUNALI: DAL BOTOLO ALLA BANANA, DAL FEUDATARIO ALLA MOSCA CIECA.


Ormai le liste sono schierate sul nastro di partenza, pronte allo scatto che le porterà alla fatidica data del 26 maggio, saranno in quattro a contendersi il primato: Potere al Botolo, Feudalesimo e Libertà, Il Popolo della Banana, Cercasi Partito. Gli elettori saranno contenti perché stavolta il mercato della politica offre delle vere primizie. La prima novità è che le quattro liste in lizza, messe da parte le rivalità, hanno deciso di fare un appello al voto perché, come dicono, la partecipazione è importante.
Pubblichiamo il testo integrale:
“Cari Elettori, lo sviluppo continuo delle diverse forme d'attività ci obbliga all'analisi del modello di sviluppo.
La tutela dell'organizzazione, ma soprattutto lo sviluppo continuo delle diverse forme d'attività ostacola l'apprezzamento dell'importanza delle appropriate condizioni di attività.
Non è indispensabile argomentare molto il peso e il significato di questi problemi, giacché l'aumento costante della quantità e dell'ampiezza della nostra attività assolve dei doveri importanti nella determinazione delle direzioni di educazione nel senso del progresso.
I principi ci indicano che la realizzazione dei doveri del programma presenta un tentativo interessante di verifica delle forme d'azione. Per questo tutti a votare”.
 Un appello breve ma denso di significato che sicuramente convincerà anche i più riottosi a recarsi alle urne.




P.s.E' un piccolo scherzo, un modo per sdrammatizzare un evento fisiologico in democrazia. Però un gioco voglio proporvelo: provate ad abbinare le Liste "vere" a quelle "false" vediamo che viene fuori.

venerdì 15 marzo 2019

PERCHE’ NON ANDRO’ IN PIAZZA PER FRIDAYSFORFUTURE



Oggi è il FridaysForFuture, nato dall’iniziativa di Greta Thunberg. Un venerdì “fortunato”, una grande mobilitazione per salvare il pianeta.  Per favore non facciamo diventare questa bella iniziativa qualcosa di diverso. Ho già visto che in parecchi vogliono metterci il cappello sopra.
E’ sbagliato! Lasciamo che i nostri ragazzi facciano quello che si sentono di fare, senza condizionamenti, senza bandiere. Anche perché i politici, gli economisti, gli scienziati che oggi sostengono (e fanno bene) questa manifestazione portano, ognuno per la sua parte, pesanti responsabilità per quello che sta accadendo al clima e all’ambiente: peccati di omissione, vigliaccheria, conformismo, opportunismo.
In questi anni si è volutamente ignorato il grido di allarme della terra, si è consumato, sperperato, distrutto senza pensare al domani. Rinviando quello che poteva e doveva essere fatto oggi.  
Per questo, pur guardando con grande simpatia e speranza al FridaysForFuture, non andrò, a differenza dei soliti “succhiaruote”, in piazza. Non ci andrò semplicemente perché non spetta a noi, generazioni che hanno sbagliato quasi tutto in tema di ambiente andare in piazza. Spetta a coloro che hanno ancora le mani pulite e lo sguardo puro gridare tutta la propria indignazione ma soprattutto lanciare verso il cielo una speranza.
Un’ultima avvertenza: nessun pasto è gratis. Quindi se si vuole affrontare seriamente questo tema è necessario ripensare il modello di sviluppo: questo significa rinunciare a qualcosa in termini di benessere (o presunto tale) diffuso, in termini di comodità, di consumo perché non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, questo i ragazzi e le ragazze che vanno in piazza devono saperlo.

giovedì 28 febbraio 2019

HA RAGIONE GIACHETTI: A ROMA COME AD AREZZO CI VUOLE CHIAREZZA


Del pensiero di Roberto Giachetti non condivido molto, di lui però apprezzo quel tipo di coerenza che fece dire a Bernard Berenson: “La coerenza richiede di ignorare oggi come si ignorava un anno fa”. 
Concordo però con lui quando esclude la possibilità di una segreteria unitaria per guidare il Pd.
Bravo Roberto!    
Non se ne può più del “volemose bene” per forza, non serve una mano di biacca per nascondere le crepe. La verità è che dentro il PD convivono idee politiche, scelte culturali, prospettive molto diverse da loro.
Fino a oggi come hanno fatto a convivere? Prima c’erano i “padri nobili” che, in virtù della loro storia e della loro autorevolezza, tenevano insieme la famiglia, poi è arrivato il cemento del potere, gestito alla maniera degli stati feudali. Tuttavia, quando le sconfitte hanno messo il re a nudo, è successo come in Jugoslavia: è scomparso lo stato e sono venute fuori le piccole patrie.  

Detto questo che succede dalle nostre parti? La scelta per rimettere in carreggiata un partito provinciale provato da sconfitte storiche, disorganizzazione e perdita di peso è stata quella di un triumvirato dove ai due uomini (io averi preferito anche qualche donna) indicati dalle aree politiche, si è aggiunto il regionale. Una scelta inevitabile, quasi obbligata, ma che serve solo a rinviare i problemi.

lunedì 28 gennaio 2019

GIORNO DELLA MEMORIA: “C’E’ UN PREZZO DA PAGARE BARBARO!”


Nel film “Conan il Barbaro”, c’è un episodio dove una strega, rispondendo al protagonista, che chiedeva un’informazione, afferma “c’è un prezzo da pagare barbaro”: Il prezzo era accoppiarsi con un demone.  
Mi è venuta in mente quella scenetta quando ho notato che sul sito ufficiale del comune di Castiglion Fiorentino mancava un richiamo al “Giorno della memoria”.  E’ pur vero che oggi la memoria ha un valore relativo e la storia non conta niente, tuttavia quella dimenticanza colpisce l’immaginazione.

Qualcuno sostiene che quel vuoto rappresenti, come per Conan, “un prezzo da pagare” all’accoppiamento con la destra estrema. Quella frangia politica che ha sostenuto e continua a sostenere in maniera veemente l’attuale amministrazione. E’ un’ipotesi.
Io propendo più per un’altra teoria, che si tratti di sciatteria, per cui si mantiene nella bacheca degli avvenimenti, il programma del Natale fino a ferragosto, e ci si dimentica del “ Giorno della memoria”.
Sono consapevole che un trafiletto sul sito ufficiale di un comune non cambi il senso della storia, non è questo il problema. La questione è più complessa e riguarda la salvaguardia dei valori fondamentali stanno alla base del vivere civile. I valori non sono qualcosa di astratto, di lontano, essi pulsano anche nel cuore di piccole comunità come la nostra. Perciò un episodio, tutto sommato minore, diventa il termometro di una febbre che, se non curata, rischia di aggravarsi.  
I valori non si possono cestinare per incuria o, peggio ancora, per calcoli politici. A questo punto mi aspetto che qualcuno, attento al mondo dei social, mi segnali che il sindaco ha pubblicato un post dove ricorda “il giorno della memoria” con una frase di Einstein. Ha fatto bene!  
Tuttavia non è la stessa cosa pubblicare un post quasi a titolo personale, tra la foto di una visita medica e quella di una doccia al termine di una corsa podistica, e ricordare ufficialmente una data così importante per la storia.

martedì 22 gennaio 2019

MEGLIO AVÉ PAURA CHE BUSCARNE



Il principio di precauzione è corretto se applicato negli ambiti giusti. Diventa invece una specie di scaricabarile se viene utilizzato per scansare le responsabilità. 
Se il principio di precauzione, che ha una sua dignità teorica, si trasforma nel più prosaico “meglio avé' paura che buscarne”, allora si rischia la paralisi. Specialmente se il “meglio avé' paura che buscarne” prende campo nella sfera pubblica.
Un piccolo esempio: quasi tutti i sindaci della provincia hanno emesso un’ordinanza per la chiusura delle scuole causa neve.  Tuttavia non si capisce perché a Foiano le scuole siano aperte e nei comuni limitrofi siano sbarrate. Oppure perché a Subbiano si va a scuola e a Capolona no: non mi risulta che siano in emisferi diversi. A rimetterci sono le famiglie che da un giorno all’altro si devono organizzare per la cura e la custodia dei bambini.
Il dilemma è amletico: Sono previdenti quei sindaci che chiudono e gli altri sono giocatori d’azzardo? Oppure sono eccessivamente timorosi quelli che emettono ordinanze e cuori intrepidi quelli che non le fanno ? In ogni cosa ci vuole misura, il problema è che in un mondo dove l’ annuncio di una  nevicata diventa ipso facto una tempesta artica ci si può aspettare di tutto. Qualunque sia il motivo questo non è il sistema migliore per far bene le cose.

mercoledì 5 dicembre 2018

IN ITALIA E’ IN ATTO UNA RIVOLUZIONE?



Quello che alcuni commentatori, per esempio Ezio Mauro oggi su Repubblica, sembrano non aver capito (lo dico con tutta la modestia del mondo e con la consapevolezza di poter essere smentito), è che il concetto di  Democrazia, per certi pezzi grossi,  è un guscio vuoto, e non potrebbe essere diversamente. 
Il motivo è presto detto: in questo momento è in atto una “rivoluzione”.  Di che tipo? Difficile dirlo, di sicuro non si confà, a questa fase della vita italiana, la famosa frase di Alexis De Tocqueville per cui “La rivoluzione in Inghilterra è stata fatta unicamente in vista della libertà, mentre quella di Francia è stata fatta principalmente in vista dell'eguaglianza”. Da noi ho la sensazione che sia stata fatta da un lato per disperazione e dall’altro per convenienza.  
Però che ci sia stato un “ sovvertimento” è fuori di dubbio, non si può chiamare in altro modo un passaggio dove un giovanotto, di 32 anni,  con scarsi mezzi e molta fantasia, diventa  vicepresidente del Consiglio con deleghe allo sviluppo economico e al lavoro.
La stessa cosa avvenne, scusate il paradosso storico, nel 1959, quando un “ragazzo” di 32 anni, passò dallo status di guerrigliero a quello di Ministro dell'Industria e dell'Economia della Repubblica di Cuba. Si chiamava Ernesto “Che” Guevara. 

E’ chiaro che non intendo fare paragoni blasfemi, però è il segnale di come, quella in atto, sia de facto una “rivoluzione”. Che poi si possa trasformare in qualcosa di diverso da uno sconvolgimento planetario è molto probabile perché, come diceva Kafka, “ogni rivoluzione evapora, lasciando dietro solo la melma di una nuova burocrazia”.
Di certo per giudicare quello che avviene oggi non sono sufficienti le lenti della storia passata, ci vorrebbero quelli che alcuni definiscono pensieri lunghi.  
A chi quest’arduo compito? A una sinistra impantanata in discussioni sterili e con un ceto politico ormai indigeribile anche agli stomaci forti della nostra gente? Lo vedo improbabile.
Occorrerà inventarsi qualcosa di nuovo: imparare per una volta la mossa del cavallo, quella che arriva a coprire con due o tre mosse buona parte della scacchiera.
Paolo Brandi

lunedì 3 dicembre 2018

DALL'ANDALUSIA ALLA TOSCANA UN UNICO GRIDO DI ALLARME


Da molti anni esiste un rapporto di amicizia tra la Regione Toscana e l’Andalusia. Sono comunità entrambe ricche d’arte e di cultura, terre di agricoltura fiorente e paesaggi meravigliosi. Esiste (o meglio esisteva) anche un altro elemento che le tiene (le teneva) insieme da sempre: sono  (erano)  governate da partiti della sinistra.
In realtà oggi, il quadro, almeno per l’Andalusia, sembra cambiato. Le ultime elezioni regionali ci affidano un panorama (dal punto di vista della sinistra) drammatico.
Il Partito Socialista perde di brutto e l’estrema destra conquista ben 12 seggi. Teoricamente sarebbe possibile, dopo 36 anni, una maggioranza tra conservatori e destra che ribalterebbe completamente gli equilibri istituzionali dalle parti di Siviglia.
Questa non è solo cronaca politica è un campanello di allarme su quello che potrebbe accadere in Toscana tra meno di due anni. Qualcuno potrà giudicare il paragone azzardato, non è così.

Andiamo a vedere i contenuti di questa nuova forza politica di destra che ha sconvolto gli equilibri politici andalusi. Si chiama Vox. Sul sito web si presentano come “un partito politico creato per il rinnovamento e la fortificazione della vita democratica spagnola […] Scommettiamo sui Valori, la Famiglia e la Vita. Per noi la priorità sono le persone e crediamo in un sistema basato sulla libertà, dove tutte le tasse siano ridotte il più possibile o anche eliminate”. A questo si aggiunge il programma elettorale, intitolato “100 misure di urgenza”: si propone l’eliminazione dell’assistenza sanitaria agli immigranti illegali, la cancellazione dei sussidi sociali e dell’applicazione dell’aborto negli ospedali, l’approvazione della legge di violenza di genere e la sospensione dello spazio Schengen. Ma non finisce qui, propugnano la difesa della “sovranità nazionale” dall’ingerenza di Bruxelles e il blocco all’arrivo dell’immigrazione illegale. Vogliono chiudere le moschee ed espellere dal Paese gli imam che promuovono l’Islam fondamentalista.

domenica 25 novembre 2018

COSA RISERVA IL FUTURO A PAESI COME CASTIGLION FIORENTINO?




"Il modello dei grandi centri commerciali è in crisi in tutto il mondo. E segna il passo persino in Italia, dove nel 2018 le chiusure di questi paradisi dello shopping (10) sono state per la prima volta più delle aperture (9). A mettere in ginocchio il settore è l’implacabile evoluzione darwiniana della specie, in questo caso quella dei consumatori. Gli iper hanno soffocato i negozi di vicinato. Ora, per la legge del contrappasso,
l’e-commerce — dove corre ormai il 10% degli acquisti al dettaglio mondiali — sta togliendo l’ossigeno a loro.”
Questa notizia, contenuta in un articolo di un importante quotidiano, mi ha fatto riflettere sul destino di territori come il nostro.  Il commercio ha, infatti, svolto un ruolo importante nello sviluppo locale. Senza i commerci non sarebbero nate le città e i nostri paesi hanno funzionato, per lunghi anni, come “centri commerciali naturali”. 
Oggi, che tutto cambia in maniera vorticosa, si tratta di capire cosa fare per non arrendersi a quello che sembra un ineluttabile destino di lenta, ma costante decrescita, più o meno felice.

Detto in altre parole quali idee si possono tirare fuori per guardare con ragionevole speranza al futuro.  

venerdì 23 novembre 2018

LA DIFESA DEL PRESEPE E LE POLITICHE SOCIALI


Non capisco perché le festività del Natale debbano diventare terreno di polemica. Ultima (e a dire il vero ricorrente) in ordine di tempo è quella sull'allestimento nel Presepe nelle scuole.
Personalmente amo il Presepe, probabilmente lo amo molto di più dell’albero di Natale, e lo difenderò sempre. Ma questo non m’impedisce di dire che su queste questioni c’è sempre chi cerca di farsi pubblicità, in specie quando riveste una carica pubblica. E credo che abbia ragione chi sostiene che le priorità, per un’amministrazione, dovrebbero essere altre: la povertà, la marginalità, le famiglie che non arrivano alla fine del mese, gli anziani che rinunciano a scaldarsi oppure non comprano le medicine perché non hanno i soldi.  

Tutto questo ormai non sembra più far parte dell’orizzonte della politica. Difatti mentre si spende fior di quattrini per organizzare feste sempre più splendide, con una sorta di gara tra i comuni a chi allestisce il Natale più bello, dall'altro si riducono le risorse per chi ha bisogno. Perciò la difesa del Presepio che arriva da certi ambienti ha il sapore acido del latte avariato. Bisogna essere conseguenti con quei valori che si dice di voler difendere, e sarebbe meglio, nelle spese pubbliche, tagliare il superfluo per dare qualcosa a chi ha bisogno.

domenica 18 novembre 2018

LAVORARE PER NULLA?



In troppi hanno la percezione (quelli che hanno un lavoro intendo)  di " lavorare per nulla”. Lavorano per nulla gli artigiani e i piccoli imprenditori che si vedono mangiare una fetta insostenibile di  reddito dal fisco, lavorano per nulla i dipendenti che, con gli stipendi di oggi, non riescono più a risparmiare, lavorano per nulla i precari che hanno ben poche speranze per il futuro, lavorano per nulla i ragazzi dei fast food e dei grandi centri commerciali costretti a contratti da fame.  C’è poi l’esercito di chi un lavoro lo cerca e non lo trova nonostante le statistiche dicano che la disoccupazione è in diminuzione. Peccato che nessuno se ne è accorto. Tutte queste cose attendono una risposta rapida, perché non c’è cosa peggiore della rabbia che cresce senza speranza, non esiste cosa peggiore del vedere crescere la disuguaglianza, perché in questa situazione c’è chi guadagna trilioni, e non poter fare niente. Poi non lamentiamoci se la gente si rivolge agli “stregoni”.


venerdì 16 novembre 2018

IL CENTRO STORICO DI CASTIGLIONI COME MODELLO PER CREARE LAVORO E SVILUPPO


La parola che mi viene in mente, quando penso al nostro centro storico, è “riabilitare” nel significato di “renderlo di nuovo capace di svolgere determinate funzioni”. Non si tratta di tornare indietro nel tempo, quando il centro storico era il “centro” non solo geografico ma anche amministrativo, economico e politico della comunità. Si tratta di inventarsi qualcosa di nuovo, per non perdere definitivamente la memoria dei luoghi e la ricchezza di cultura, storia e tradizione che i centri storici, in particolare quello di Castiglion Fiorentino, si portano dietro.
Ci sono zone della “città murata” che presentano un degrado incipiente nonostante i residenti s’impegnino per  mantenere il decoro e l’ordine. Il problema nasce in gran parte dallo spopolamento, dalla perdita di attività economica e dobbiamo dirlo, con un certo rammarico, dal disinteresse e dallo scarso senso civico. Troppe volte si leggono dichiarazioni rassegnate di politici o di amministratori, sull'impossibilità materiale di fare qualcosa. Una resa inaccettabile perché molto può essere fatto, purché si abbia in testa un progetto. Talvolta occorre andare per tentativi, attraverso quelle che si chiamano congetture e confutazioni. Ci siamo accorti per esempio che aiutare economicamente le attività serve a poco, se non c’è un programma per riportare la gente dentro le mura. Così come ci siamo accorti che le politiche degli eventi per quanto rappresentino un’iniezione di fiducia non sono la soluzione. Un giorno puoi avere migliaia di persone ma per i restanti 364 giorni non hai nessuno. E c’è una differenza fondamentale tra avere le “luci delle case accese e il divertimentificio senza controllo”.

In questo senso occorrono riflessioni ragionate. Per esempio su quel che potrebbero fare le università, comprese quelle straniere, con le loro attività di ricerca. Oppure le imprese: quanti servizi non strettamente legati alla produzione possono tornare o essere collocati dentro le mura? Penso alle strutture di comunicazione, agli studi professionali, alle attività di servizio a tutto quello che viene prima e dopo la produzione.  
Non possiamo però pretendere di avere tutto e subito, occorre andare per gradi: la prima cosa è recuperare il decoro urbano, non esiste che intere zone siano abbandonate a se stesse. Penso alla Badiola, a piazza S. Agostino, ai vicoli che fanno da contorno alla parte alta del Corso Italia. La seconda operazione è lavorare su incentivi mirati per il recupero funzionale dei fondi commerciali e artigianali che oggi hanno le serrande abbassate. Un altro aspetto è la rivisitazione delle aree a parcheggio e del transito dei veicoli. In ultimo bisogna pesare a favorire la residenza anche con iniziative di edilizia pubblica in specie per le giovani coppie e anziani. Dopo si può passare a un'altra fase: per esempio il recupero della funzione scolastica, ci sono spazi inutilizzati come l’ex ospedale che potrebbero essere riacquisti a questo scopo . E’ un’ottima cosa l’idea di utilizzare la chiesa di S. Agostino per usi convegnistici ma non basta avere un grande spazio se poi mancano le strutture di supporto che fanno da contorno all'aula principale. Un'altra idea, mutuata da altre esperienze, è recuperare la vocazione artistica e artigianale del paese. Si potrebbe pensare alla via S. Michele come una strada dedicata a questo scopo. Agevolando con incentivi l’uso degli spazi commerciali e offrendoli gratuitamente, almeno per qualche mese a chi vuole mettere in piedi un laboratorio, una mostra, una piccola attività artigianale. In ultimo è necessario rafforzare la rete museale. Castiglion Fiorentino aveva una vera e propria rete costituita dal Museo archeologico, dalla Pinacoteca, dagli scavi sotterranei, dal museo della Pieve, dalla Torre del Cassero, dalla Porta Etrusca. Oggi questo tessuto si è arricchito di nuove collezioni sarebbe bello che il cuore del paese ricominciasse a pulsare al ritmo della grande ricchezza culturale ereditata dai secoli passati.
Tutto questo non significa abbandonare le periferie, anzi vuol dire il contrario, perché un centro stico vitale è volano per tutto il territorio. Castiglion Fiorentino ha enormi possibilità occorre trovare la chiave giusta per aprire la porta di un nuovo sviluppo.
Paolo Brandi


mercoledì 14 novembre 2018

I GIORNALISTI E LE PROSTITUTE. BREVE RIFLESSIONE E NESSUN SI SENTA OFFESO


Non amo la servitù delle parole, non amo chi, pur avendo l’intelligenza e la capacità di capire le cose si mette “a servizio”, confermando quel che disse un certo Bakunin, e cioè che il “servilismo è una schiavitù volontaria”. 
Ne consegue che mentre lo schiavo non è colpevole, i servi sono, in molti casi, meritevoli di condanna. 
Attenzione, non parlo di coloro che si mettono al servizio di un’idea, rischiando del proprio. Ho sempre avuto una segreta ammirazione per chi, pur stando dalla parte sbagliata, mostra coerenza e coraggio e dunque onoro i morti, quelli che stanno al “Campo della memoria” e quelli che stanno nei cimiteri partigiani e chi conosce un pò di storia sa a cosa mi riferisco. Sarà questa la ragione per cui ho sempre più difficoltà nel distinguere i buoni dai cattivi, specialmente quando la storia è scritta dai vincitori.

Io nego la mia solidarietà a chi si mette prono non per convinzione ma per interesse. Parlo di chi per mestiere dovrebbe informare e invece ignora fatti macroscopici e, di converso, esalta minuzie da niente. Allo stesso tempo però ritengo eccessivi i giudizi trancianti su tutta una categoria, sanno di razzismo intellettuale. Non è vero che i giornalisti sono tutti prostitute, alcuni però lo sono.

Mi si potrà rispondere che ci sono prostitute e prostituti in tutte le professioni. E’ vero. Ma ci sono mestieri come quello dell’insegnate o del giornalista che si portano dietro una responsabilità in più, perché formano la testa delle persone, le opinioni, orientano la mente. E questi lavori dovrebbero essere liberi dalla sottomissione che deriva dai mercanteggiamenti.
Non posso amare questa gente: cosa penseremmo di un macchinista che ferma il treno in aperta campagna, perché così conviene al suo amico o di un medico che sbaglia di proposito le diagnosi? Lo stesso succede a chi vende le parole. Ferma l’attenzione secondo i desideri di chi lo paga e confonde le analisi per favorire chi lo favorisce.  
Non tutti sono così, però, se ci guardiamo intorno, anche nel nostro piccolo modo antico, dobbiamo onestamente riconoscere che parecchi sono così.  
Paolo Brandi

martedì 13 novembre 2018

CASTIGLION FIORENTINO: VIA MARTIRI DI NASSIRIYA NON E’ UNA STRADA QUALUNQUE


Qualche giorno fa ho comprato una maglietta, non che fosse particolarmente bella, anzi è normalissima ma mi piaceva la scritta: “no future without a past”, nessun futuro senza un passato. E’ un capo di abbigliamento che vorrei regalare a tutti quelli che continuano a pensare che il futuro sia come una “palla di cannone accesa” e che dietro la bocca del cannone non ci sia niente.
Non voglio riesumare Bernardo di Chartres il quale, da buon filosofo, sosteneva “che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.” Ma non voglio nemmeno dare ragione a coloro che, per giustificare la propria pochezza, ignoranza e rozzezza di pensiero sostengono che il passato sia da buttare nella tazza del water e sia sufficiente tirare la catena per vivere senza pensieri.



Perché queste riflessioni? Perché credo che una comunità non debba mai perdere la memoria. Senza memoria non esiste identità.  Per questo sono rimasto male nel costatare che  giornali ed emittenti locali, di solito generosi d’informazioni sui fatti del nostro paese ieri, 12 novembre, non abbiano riportato l’annuncio del ricordo di un altro dodici novembre, quello del 2003, quando un kamikaze si lanciò contro la “Base Maestrale” dell’esercito italiano a Nassiriya.
Ci furono 28 morti, di cui 19 italiani (e fra questi dodici carabinieri). La cronaca finisce qui e da questo momento comincia la memoria.  Si può discutere sull'opportunità dell’intervento militare in Iraq ma non si può negare il ricordo ai caduti.
A Castiglion Fiorentino, qualche anno addietro, fu intitolata una strada a quel triste evento: Via Martiri di Nassiriya. Da castiglionese mi sarei aspetto che giungesse la notizia che qualcuno, a 15 anni di distanza, avesse deposto un mazzo di fiori per rievocare le vittime. Dico questo senza polemica, senza voler gettare la croce addosso a nessuno, so bene che l’esercizio della memoria è faticoso e in un’epoca in cui tutto sembra correre alla velocità della luce anche quello che è successo ieri appartiene al passato remoto. Non è però un bene, perché cancellando il ricordo si cancella una parte di noi stessi e quando questo accade all'interno di una comunità, il gioco effimero del quotidiano prende spesso il sopravvento sulle cose serie.
Paolo Brandi


giovedì 8 novembre 2018

Castiglion Fiorentino: LA STAZIONE E LA PAURA


Sono arrabbiato, anzi di più, sono incazzato nero con me stesso. La causa è in quello che mi è accaduto ieri. Da un pò di tempo evito di viaggiare in macchina lungo la SR 71, in certi momenti quella strada è un alveare, meglio prendersela comoda e sfruttare il fatto che Castiglion Fiorentino ha un ottimo collegamento ferroviario con Arezzo. 
Ieri, a pomeriggio inoltrato, sono andato alla stazione e, da quel momento in poi, due cose mi hanno fatto infuriare. 
La prima incavolatura è stata cagionata dal fatto che la nostra stazione non ha più una biglietteria. Ho già segnalato questa cosa ma pare che non interessi a nessuno. Eppure le biglietterie sono utili: funzionano da presidio, offrono un servizio a turisti ed anziani,rendono viva una stazione tuttavia, chi dovrebbe risolvere il problema, se ne strafotte, lasciando le cose come sono. Ma non è questa la ragione principale della mia rabbia.
La ragione principale è che a quell'ora sulla banchina, in attesa del treno, c’ero io, un paio di ragazzine e un bel pò di stranieri, in gran parte persone di colore. Sia chiaro, non facevano nulla di male, eppure mi sono sentito a disagio.
Mi sono chiesto: se uno come me, una persona normale, di media cultura, più o meno aperto al mondo, si sente così, la stessa cosa può allora capitare a tante altre persone. E con più ragione può accadere a chi vive in quartieri degradati, in periferie urbane assediate, in stazioni ferroviarie dove puoi trovare di tutto.

In quel preciso istante, di fronte al mio ingiustificato disagio, ho capito la rabbia che sento montare in giro. Una rabbia sorda, primordiale che non cresce nei quartieri eleganti, ma turbina, come un uragano, laddove vive la gente semplice. Una rabbia generata dalla paura.
La paura, alla faccia di chi la nega, è un fatto concreto, si tocca con mano, ti fa soffrire quanto la fame e la sete, la paura ti rende fragile perché inquina l’anima e la fa diventare permeabile a qualunque dottrina, comprese quelle che predicano l’odio e la violenza. La paura è tanto più forte quando si combina col disagio economico, alla lotta quotidiana per la sopravvivenza. Oggi sopravvivere non significa solo arrovellarsi per un tozzo di pane, significa trovare i soldi per pagare il mutuo, cercare un lavoro, curarsi senza spendere un patrimonio. La paura, com'è capitato a me su quella banchina, ottenebra la ragione e ti fa pensare che il problema in questo paese siano i poveri e non invece i troppo ricchi.
A Genova multano quelli che per bisogno (altrimenti chi diavolo lo farebbe?), frugano nei cassonetti in cerca di cibo. E’ facile prendersela con gli ultimi, con i più deboli, ma è così che si risolvono i problemi?  La ragione direbbe di no, eppure c’è sempre più gente che lo pensa. Sia chiaro, questo non vuol dire che chi delinque, chi si comporta male, debba sempre avere una giustificazione. Il tempo del libro “Cuore” è finito e chi compiere un crimine, grande o piccolo che sia, va punito.
Un vecchio proverbio cinese dice: “Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito”, per questo io sono arrabbiato con me stesso. Perché alla stazione, ieri sera, ho guardato il dito ed ho sentito crescere dentro di me un fastidio, un timore per i quali provo vergogna.

Paolo Brandi  

venerdì 2 novembre 2018

ELEZIONI PROVINCIALI: IL PIANTO DEL GIORNO DOPO


C’è un film intitolato “L’uomo del giorno dopo” , oggi, dopo l’oscenità  delle elezioni per la presidenza della provincia assistiamo al “pianto del giorno dopo”.  
Mentre la destra plaude e improvvisa balli di gioia, nel centrosinistra sono tutti affranti, col cuore a pezzi e l’animo che stenta a ripartire.
Mi nasce spontanea una domanda: e prima a cosa pensavano? A cosa pensavano quei bravi ragazzi (e ragazze)? Che cosa hanno fatto perché quello che è successo non accadesse? 
Eppure di schiaffi in faccia ne avevamo presi tanti, ma non è bastato. 
Viene il dubbio, ma è solo un’iperbole per carità, che come successe alla repubblica spagnola nel 1936, ci sia una quinta colonna che lavora “scientificamente” per la distruzione. Non per la distruzione del PD, per quella si danno da fare a  Roma, ma per l’annichilimento di una storia politica di un intero territorio, quasi che le radici di sinistra fossero una cosa da cui emendare la provincia di Arezzo.

Ai piagnoni di oggi, che vengono fuori come funghi dopo la pioggia, dico solo che forse con un pò più di impegno, di onestà, di lealtà da parte di tutti si potevano evitare tante sconfitte nei comuni e oggi, di conseguenza, non saremmo  a discutere della provincia.
Certo la colpa, se di colpa vogliamo parlare, è di quei farabutti che hanno cambiato la preferenza nel segreto dell’urna, di chi si è astenuto, di chi ha preferito la festa di Halloween all'impegno istituzionale. Certo, sono loro i sicari, ma la storia è ben più lunga anche se nessuno e dico nessuno, se la vuol sentire raccontare.
Lo so che sono parole buttate al vento. Perché un partito che ha smesso da tempo di interrogarsi non ha bisogno di parole, come diceva qualcuno, le “parole sono pietre”. Sono pesanti e quando arrivano in testa fanno male.  
Meglio, molto meglio camminare sul filo al pari degli equilibristi per salvare se stessi e fregarsene di quello che succede intorno. Senza rendersi conto che quando la nave affonda, affoga l’intera ciurma: marinai, mozzi e capitani.
Oggi tutti indossano le gramaglie del lutto e ne hanno ben donde, ma non abbiate timore, domani,  quando si affacceranno le elezioni amministrative o più ancora quelle regionali, rindosseranno la divisa da parata e la danza macabra, che ci ha portato a questo punto, ricomincerà.
Io sono indignato, arcistufo di stare a guardare la rovina di quello che i nostri padri, i nostri nonni e prima di loro altre generazioni hanno costruito in più di un secolo di storia.  So altrettanto bene che indignarsi non serve a niente, in certi ambenti ovattati la risposta sarà sempre  –chissenefrega-. 
Ma  io lo grido lo stesso, quantomeno non avrò sulla coscienza il peccato di omissione.
Un’ultima cosa smettiamola di piangere e ricominciamo sorridere, ma non tra noi, in mezzo alla gente.  
Paolo Brandi

giovedì 1 novembre 2018

I MISTERI DEL MONUMENTO AI CADUTI DI CASTIGLION FIORENTINO




Si avvicina il 4 novembre, una data un tempo festiva, che, quest’anno, per puro caso, capita di domenica. Purtroppo, una legge “sciagurata”, l’ha trasformata in una di quelle che sono definite “festività mobili, cioè quelle giornate di celebrazione che ricadono nel giorno festivo immediatamente successivo a quello ufficiale.
Un tempo il 4 novembre si celebrava la vittoria nella prima Guerra Mondiale, oggi più prosaicamente si è trasformata nella festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate.
A me piace ricordarla alla vecchia maniera, perché altrimenti non si comprenderebbe il perché, quest’anno, via sia un così grande fervore nel volerla celebrare. Il motivo è presto detto: sono trascorsi esattamente 100 anni dalla fine della Grande guerra.
Un conflitto che in tre anni costò all'Italia qualcosa come 650.000 morti e a una comunità come quella castiglionese, che all'epoca contava più o meno come oggi, 13.000 abitanti, 368 caduti e dispersi.  Un costo enorme in termini di vite spezzate, dolori e rinunce.
Una guerra che è rimasta impressa nella memoria collettiva e che è commemorata in quasi tutti i paesi da monumenti e lapidi.
Castiglion Fiorentino la ricorda con una targa commemorativa nella facciata della Chiesa di Montecchio, con i monumenti di Brolio, Castroncello e Manciano e con due steli che rimandano alla memoria dei caduti della Venerabile Arciconfraternita di Misericordia e del Collegio Serristori.

Ma la ricorda soprattutto con il grande monumento ai caduti ubicato nei giardini pubblici.
Studiando le vicende che hanno portato alla realizzazione di quest’opera ho svelato, come ricorda il giornale La Nazione, due piccoli misteri.
Il primo è che nelle cronache dell’epoca i caduti castiglionesi erano indicati in 269, poi grazie al lavoro certosino, portato avanti nel 2002, del nostro concittadino Remo Ghezzi, viene fuori che i caduti castiglionesi erano stati ben 338. Mi sono domandato il perché di questa difformità. Consultando le cronache del tempo, si parla dell’anno 1923, si scopre che in questo triste computo non erano stati riportati i dispersi e chi era deceduto nei campi di prigionia o, a guerra finita, negli ospedali militari.
La burocrazia è spietata e fin quando non c’è una certificazione, oppure è trascorso un certo numero di anni non si può dichiarare qualcuno definitivamente scomparso. Immaginiamo che in molte famiglie il fatto che i loro congiunti non fossero stati dichiarati ufficialmente morti, alimentasse la  segreta speranza che qualcuno potesse tornare dalle lontane terre della Galizia o di Pannonia, laddove i nostri soldati erano stati imprigionati.
Il secondo mistero è per certi versi ancor più intrigante. Leggendo i verbali del comitato che presiedeva alla realizzazione del monumento, si scopre che dietro la targa in bronzo che rappresenta S. Michele,  posta sul basamento della scultura, era stata realizzata una teca, contenete una pergamena, con scritti i nomi dei 269 caduti. Un fatto, questo, di cui a Castiglioni si era persa la memoria. Si tratta di una sorta di capsula del tempo destinata, nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, a perpetuare nei secoli i nomi dei gloriosi caduti. Oggi, che sappiamo quell'elenco essere incompleto, è sembrato doveroso aggiornarlo. Così una nuova pergamena, contenete stavolta i nomi dei caduti mancanti, sarà posta anch'essa nella base del monumento a perpetuare la memoria dei giovani castiglionesi che sacrificarono la vita in quell'immane conflitto.
Paolo Brandi

mercoledì 31 ottobre 2018

RIPARTIRE DAI PIÙ DEBOLI. LA LEZIONE DI ROSSANA E BETO VALE ANCHE PER LE AMMINISTRATIVE DEL 2019


Rossana Rossanda in un’intervista ha detto: "Colpa nostra se vince Salvini, la sinistra ha deluso le speranze" ed ha aggiunto “milioni di persone votavano a sinistra perché nel suo DNA c’era la difesa dei più deboli. Questo non lo pensa più nessuno”.
Già m’immagino qualche commento: “roba antica, da una signora di 94 anni, con tutto il rispetto, non ci si può aspettare che nostalgie e vecchi ricordi. Oggi quello che conta non è quello che fai, ma quello che dici e soprattutto come lo dici.”  Forse non è proprio così se Beto O’Rourke, considerato l’astro nascente dei democratici americani, ha affermato, riguardo al suo avversario repubblicano “Cruz è ricco, pensa ai soldi. Si preoccupa di difendere chi ha i soldi come lui. Io invece mi occupo di tutti, anche di chi è in difficoltà. Questa è la principale differenza tra me e lui”.
Due punti di vista lontani? Non mi pare. Eppure quella signora è nata nel 1924 e Beto nel 1972.  Tra loro c’è quasi mezzo secolo di differenza. Eppure sostengono più o meno la stessa cosa a dimostrazione che i valori non invecchiano.

Il problema è che la sinistra italiana lacerata tra un’identità incerta, quella del PD, e un estremismo a tratti autolesionista, non è più in grado di esprimere valori. Ha perso la capacità di elaborare quelli che Berlinguer chiamava “pensieri lungi”, in grado di guardare oltre l’orizzonte per indicare la strada. Al loro posto il vuoto mascherato da un diluvio di parole, un’alluvione di banalità che alla fine ha rotto gli argini travolgendo tutto dall'alto al basso, imprigionando in una palude di piccole rivalse, personalismi e  ripicche anche la politica locale.   
Veniamo alle nostre questioni locali. Anche qui come in larga parte della Toscana abbiamo perso parecchio, bruciando, senza vergogna, un patrimonio di voti, pensieri e passioni. Le prossime elezioni amministrative saranno come la linea del Piave. Se reggiamo, possiamo sperare di andare vanti, se l’avversario sfonda, rischia di dilagare. Tuttavia non si regge all'offensiva facendo appello ai buoni sentimenti, al “volemose bene”. I fanti italiani ressero alle armate austroungariche perché, oltre al sentimento patriottico, possedevano cannoni e mitraglie.
I nostri cannoni non sono d’acciaio, stanno tutti dentro la nostra testa e si chiamano idee. Per esempio è ora di farla finita di piangere sul fatto che i comuni non possono fare niente, stretti tra le richieste dei cittadini e la scarsità delle risorse.  E’ nelle difficoltà che si misura il talento di un amministratore. Ci vogliono programmi e insieme a questi ultimi sono necessari uomini e donne credibili.
Ripartiamo da quello che la vecchia Rossana e il giovane Beto dicono. “dalla difesa dei più deboli”. Non è difficile, basta volerlo fare. Sociale, ambiente, sicurezza, lavoro sono tutte questioni che riguardano i meno garantiti perché i ricchi non ne hanno bisogno.
C’è poi la questione della credibilità, qui mi dispiace dirlo ma già pronunciare il nome del PD fa calare i consensi. Non dico che sia giusto ma è così. Il PD dovrebbe imparare la lezione delle piene del Nilo nell'antico Egitto. Deve imparare a ritirarsi, recuperando la sua funzione originale, quella, come dice la costituzione di “concorrere a determinare la politica”. Concorrere è una bella parola perché lascia aperte tante opportunità di collaborazione e cooperazione con altri soggetti che non siano necessariamente i partiti. La politica, specialmente nei nostri comuni, ha necessità di rigenerarsi, un pò come avviene a una batteria che ha esaurito l’energia, deve mettersi sotto carica. 
Quando il Nilo ritornava nel suo alveo lasciava dietro di se distese di terreno fertile, allo stesso modo i partiti, tornando alla loro funzione originale, possono contribuire a far crescere una messe di nuove idee.     

Paolo Brandi

lunedì 29 ottobre 2018

I CAMPI DI STERMINIO RIDOTTI A PARCO GIOCHI. LA BANALITÀ DELL’IDIOZIA



Il 28 ottobre, anniversario della “Marcia su Roma”, si sono radunati, in quel di Predappio, qualche migliaio di fascisti, non trovo altro termine per definirli e non credo che i partecipanti lo considerino offensivo.
Non mi meraviglia che, ancor oggi, dopo quasi 100 anni, tante persone si riuniscano per celebrare quello che si può considerare l’avvio della dittatura nel nostro paese. Non mi meraviglia perché l’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia. Questo paese tende a digerire di tutto, un pò come accade ai biodigestori che dagli scarti organici (compreso il letame), ricavano energia.
Diciamo la verità quei conti non sono stati fatti perché il fascismo, non quello folkloristico dei fez e delle aquile sul berretto, è connaturato alla nostra storia.
L’unico che capì da subito come stavano le cose fu Gramsci che nel 1921 scrisse: “Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato”.


Ma di quella lezione non è rimasto niente e aver ignorato quest’aspetto è una delle grandi colpe dei partiti. In oltre settanta anni di Repubblica, a destra come a sinistra, si è evitata una pedagogia della democrazia preferendo invece la gestione del potere. E i risultati si toccano con mano.
Ma non è questo il punto che voglio rilevare. Quello che mi ha spinto a scrivere queste riflessioni è stata la “goliardata” di una signora, di cui per carità di patria non cito il nome, la quale si è presentata a Predappio con una maglietta con la scritta "Auschwitzland”, fatta coi caratteri della Disney e accompagnata dal disegno del campo di concentramento. Insomma il campo di sterminio trasformato a parco giochi.
La signora intervista ha risposto che trattasi di “humor nero". Che sia nero non c’è dubbio che faccia ridere è da dimostrare. Per di più alla domanda se sapesse che ad Auschwitz sono state ammazzate più di un milione di persone, ha risposto che “è stata un’esagerazione, una cosa sbagliata, dei nazisti”. Come se il problema fosse che ne hanno gassati troppi, insomma una questione di numeri e basta.
Il pericolo sta tutto lì, nel banalizzare, nel ridurre tutto a una “goliardata” infarcita di imbecillità. Ormai siamo portati a giustificare ogni cosa sulla base di un relativismo etico e storico che fa perdere di vista i valori. Tolleriamo qualunque stupidaggine in nome della leggerezza del vivere e, mi verrebbe da dire, del quieto vivere.
Tutto questo fa il paio con la perdita di autorità delle istituzioni, il declassamento della scuola, il menefreghismo imperante, in nome di una libertà che alla lunga si trasforma in sopraffazione. Attenzione, quando dico queste cose, non penso solo alla destra che cavalca antiche e nuove paure, penso anche a una parte di sinistra che, in nome di una sociologia d’accatto, scagiona ogni eccesso, compresi quelli di chi delinque e non rispetta leggi e valori della convivenza. Insomma a partire da quella maglietta immorale ci sono motivi di riflessione per tutti. 
E ora potete pure sputarmi addosso, da destra e da sinistra.

Paolo Brandi


sabato 27 ottobre 2018

Centro sinistra unito per Castiglioni Riceviamo e pubblichiamo.




In vista delle prossime elezioni amministrative, che saranno indette per la primavera prossima, ci accingiamo a presentare la lista del centro sinistra, aperta a tutte le forze politiche che si riconoscono in un progetto democratico, progressista e riformista.
E’ per questo motivo, che in un momento di crisi dei partiti storici che sono percepiti come inadeguati a rappresentare la collettività, desideriamo proporre una svolta per il riscatto della politica, attingendo alle forze migliori della società e proponendo un modello nuovo, rappresentato da uomini nuovi, che trovi la sua forza nel rapporto diretto con tutta la comunità, ma in cui il primo obiettivo da raggiungere dovrà essere quello di innalzare per tutti, la qualità e il livello della competizione elettorale.

Tutto questo può essere fatto riconquistando la fiducia delle persone intorno ad un progetto amministrativo in grado di dare risposte ai bisogni dei cittadini.

Questi saranno i nostri obbiettivi:
-      rafforzare il welfare locale impegnandosi a sviluppare l’economia ed il lavoro, salvaguardando l’ambiente, il diritto alla salute ed il rispetto dei diritti umani;
-      garantire la sicurezza della comunità con un controllo efficace del territorio aumentando le sinergie tra polizia locale e forze dell’ordine;
-      offrire un futuro alle giovani generazioni, tutelando gli anziani e le famiglie

In questo senso ci impegneremo per il comune di Castiglion Fiorentino, a costruire un percorso che vada nella direzione di sostenere un progetto amministrativo in grado di coinvolgere tutti i cittadini, riavvicinando i giovani e collaborando con le imprese e con il mondo del volontariato.

Tutto ciò per restituire slancio a una comunità che vuole uscire dalle contrapposizioni sterili, recuperando finalmente lo spirito civico e solidale che ha sempre contraddistinto Castiglion Fiorentino

Le forze politiche che sottoscrivono :

-CENTRO DEMOCRATICO-POPOLARI
-LIBERI E UGUALI
-PIU’ EUROPA
-PARTITO SOCIALISTA
-PARTITO DEMOCRATICO

Castiglion Fiorentino 27/10/2018

domenica 21 ottobre 2018

POLITICA, BRUTTA PAROLA. I ROMANI CI INSEGNANO, SE POI NON VOGLIAMO IMPARARE SONO CAVOLI NOSTRI


Tutti parlano, parlano e ciarlano, ciarlano e parlano, eppure basterebbe citare alcuni brevi motti, ricavati dalla saggezza latina per capire il senso delle cose e provare a rimediare ai danni fatti:
Parvum parva decet: Le piccole preoccupazioni fanno parlare quelle grandi lasciano muti.
Smettiamo dunque di pensare che i piccoli problemi quotidiani non contino nulla di fronte al formarsi di un’opinione sociale. Fa molto più danno vedere qualcuno che non paga il biglietto su di un treno e con arroganza si ribella al controllore che cento discorsi da un palco.
Parvula despiciens conquirit maxima nunquam: Disprezzando le piccole cose non si conquistano quelle grandi.
Non è sottovalutando le cose che pesano nella vita della gente comune: le liste di attesa a un pronto soccorso, le difficoltà a pagare un mutuo, la sofferenza di non avere i denari per mandare il figlio all’asilo nido,  una pensione che non consente di pagare contemporaneamente le bollette e una visita specialistica, che si raggiungono i grandi obbiettivi. Perché, in democrazia, le spinte che arrivano dal basso sono importanti quanto le teorie dei grandi pensatori.

Parvus pendetur fur, magnus abire videtur: il piccolo ladro viene impiccato mentre il grande viene visto fuggire.
Non possiamo non considerare la sete di giusta della gente, un moto che qualcuno ha trasformato furbescamente in una rivolta disordinata. La lotta ai privilegi, alla diseguaglianza, all’opulenza che diventa spreco è nel DNA della sinistra, perché l’abbiamo persa? Cominciamo a darci delle risposte e forse troveremo la strada.  
Patria mea totus hic mundus est: La mia patria è tutto questo mondo. Questo è un concetto bello ma complicato, se non lo colleghiamo con un altro e cioè Patria est ubicumque est bene: La patria è dove si sta bene. E se dentro questi schemi che si chiamano globalizzazione, multiculturalità, la gente si sente insicura, impaurita dobbiamo capire come rimediare. Perchè altrimenti prende ragione chi vuol tornare alle piccole patrie, che è come dire andiamo fare le comparse nel palcoscenico della storia. Tuttavia non possiamo nemmeno pretendere di fare gli attori abdicando ai nostri valori, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni.
I nostri antenati avevano capito molte cose che oggi noi tendiamo a dimenticare. Non vogliamo ragione di siffatte questioni con spirito libero e senza schemi pre-costituiti? Benissimo, “ognun per se e Dio per tutti”. Però Il pericolo l’abbiamo davanti agli occhi: quello che per rabbia, disperazione, rassegnazione o vacua speranza si affidi l'ovile pieno al lupo di montagna: Plenum montano credis ovile lupo.
Con tutto quello che ne consegue.

Paolo Brandi


lunedì 15 ottobre 2018

FARE ANALISI POLITICA NEL PD E’ COME PORTARE UN CANE IN CHIESA. I numeri aretini del Congresso Regionale



Da qualche tempo parlare di “analisi” nel Pd è come portare un cane in chiesa. Dopo le batoste subite nessuno ha sprecato un grammo di cervello per cercare di capire quello che, per esempio, era successo in Toscana, dove abbiamo perso, insieme a molti altri, quasi tutti i comuni capoluogo. La spiegazione è semplice, cercare di capire le ragioni delle sconfitte, analizzarle, vuol dire riconoscere che una linea politica ha fallito, con tutto quello che ne consegue.
Le analisi si fanno sui numeri per questo, oggi, metto sotto la lente d’ingrandimento il voto per il segretario regionale del PD. Per altro, la cervellotica invenzione di far votare prima gli iscritti e in seguito gli iscritti più gli elettori, consente di fare un’analisi comparata interessante.
Vediamo quello che è successo in provincia di Arezzo.
Il primo dato che dovrebbe preoccupare tutti, renziani e non renziani è la scarsa, per usare un eufemismo, partecipazione al voto. Alla prima tornata (quella degli iscritti) hanno votato in 994 su 3584 aventi diritto, cioè il 27,7%. In un partito questa percentuale è da suicidio. Se la “ditta” non riesce a far votare il 50 più 1 dei soci per il proprio amministratore delegato vuol dire che si è prossimi al collasso.
Alla seconda elezione, quella che vedeva coinvolti oltre agli iscritti, anche gli elettori, hanno votato in provincia di Arezzo 3257 persone, che in percentuale rappresentano circa 1,2 per cento degli aventi diritto.
Queste cifre dovrebbero far rizzare le antenne. 

Pur comprendendo la legittima felicità di alcuni e lo sconforto di altri, vorrei dire che stiamo ragionando del sesso degli angeli.  La cosa più preoccupante è che questo “niente” alla fine, avrà un peso, perché la figura del segretario regionale non è e non sarà neutrale rispetto a quello che accadrà dopo.
Tornando agli aspetti aretini un dato emerge con una certa nettezza, pur con  numeri risicati, sembra esseri rotta la macchina da guerra “renziana”. Il dato più interessante in questo senso è che mentre Simona Bonafè tra gli iscritti aretini aveva ottenuto un lusinghiero 62,69 %, alle primarie aperte ha ottenuto il 54,1%.  Che significa? Potrebbe voler dire che mentre nel partito, il controllo di alcune zone nevralgiche, leggi in particolare la città di Arezzo, consente di tenere alto il livello di consenso per i candidati renziani, quando al voto vanno gli elettori, le cose cambiano. Non in maniera clamorosa ma cambiano, da non sottovalutare che Renzi, da queste parti, arrivava all’80% alle primarie. In verità questo paragone regge poco, perché in quel caso si trattava di primarie nazionali, con tutto quello che ne consegue in termini di visibilità e partecipazione.
Ma tutto questo, alla luce di quanto sta succedendo in giro, sembra un gioco di società. Parliamoci chiaro queste elezioni consegnano alla nuova segretaria una brutta gatta da pelare. Non tanto per i numeri, alla fine la Bonafè in Toscana ha vinto bene, i dolori arrivano mirando alle prospettive.